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Home working. Smart Working. Agile Working.

    L’anno scorso ho trascorso 45 giorni in Madagascar, l’esperienza più lunga di smart working che mi sia mai concessa.

    Ho sempre lavorato in prossimità dei miei clienti o quasi, certo non in ufficio 9 to 6. Non lavoro più in questa modalità dal 2014, quando ho lasciato un lavoro più o meno sicuro in favore di una vita più libera, attiva e creativa.

    È stato un viaggio lento e stanziale quello in Madagascar, non mi sono quasi mai mossa dalla località in cui sono atterrata. Facevo escursioni solo nei fine settimana o nei festivi.

    Insomma, vivevo una vita quotidiana ordinaria ma certo straordinaria, perché superbamente ricca di stimoli.

    Per fare questa scelta – non capisco perché incredibile per la generazione che prendeva il caffè a Londra e cenava a Milano – ci è voluta organizzazione e una certa dose di coraggio.

    Ho infatti combattuto contro alcune sicurezze, ma più che altro con il senso di colpa.

    Erano quelle vocine a infastidirmi la partenza, quelle di una società che, allora (solo un anno fa), non sembrava pronta a accettare scelte di questo genere.

    Ho risposto così tante volte alla frase e come fai con il lavoro? che mi ero stancata di ripeterlo che sono una freelance e smart worker o agile worker e quindi alla fine mi rassegnavo all’idea:

    che tutti pensassero pure che stessi in vacanza per 45 giorni a bere cocktail tropicali tutto il giorno sulla sabbia bianca di un’isola meravigliosa.

    Eh, sì l’ho fatto diverse volte, onestamente, ma non tutto il giorno, e non tutti i giorni.

    Però l’idea che si potesse godere della vita lavorando era un azzardo e una bestemmia per tanti.

    Adesso che sono tornata alla base e che ci sono rimasta chiusa mesi, cosa posso dire?

    Ora che ci si presenta davanti la possibilità di trasformare il lavoro a causa di una maledetta pandemia…

    Ora che possiamo accelerare la trasformazione tecnologica per farla entrare di diritto a strumento di innovazione della nostra vita…

    Siamo schiacciati dall’home working.

    Per questo penso ossessivamente ai miei giorni in Madagascar, alla libertà di avere la natura selvaggia che ti bussava alla porta, ma dietro a quella porta mi rassicurava una connessione fibra tra le migliori al mondo.

    Sono una digital worker. Non lavoro serena se sono costretta a uno spazio fisico a tempo indeterminato, anche se è casa mia.

    Smart working non significa home working. E non sempre home working è anche lavoro agile.

     

    (Durante il mio soggiorno in Madagascar, ho fatto una ricerca sul mondo di internet, sulle infrastrutture e sugli investimenti di Facebook in questo paese. Se vuoi, puoi leggerlo su Slow News.)

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